V1, dal cielo parole e morte

V1, dal cielo parole e morte

DI MARCO DE MATTEI |

Quando all’alba del 13 giugno 1944 i londinesi subirono l’ennesimo bombardamento erano abituati ma non assuefatti al suono delle sirene, alle corse nei rifugi antiaereo, ai fasci di luce della contraerea, al cadere delle bombe, agli incendi, alle macerie.

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Ma l’attacco di quel martedì fu diverso dai precedenti perché fu il primo condotto con le V1, una delle «armi segrete» che nelle speranze di Hitler avrebbero dovuto risollevare le sorti della guerra. Le V1 erano bombe volanti costruite dalla dalla Gerhard-Fieseler-Werke di Kassel (nella Germania centroccidentale), simili a piccoli aerei privi di pilota (lunghi otto metri e con un’apertura alare di cinque) spinte da un propulsore posto sopra la fusoliera.
Il lancio – quello del 13 giugno era partito da postazioni lungo la costa della Manica – avveniva da rampe a rotaia rivolte nella direzione dell’obiettivo. In origine il nome era Fieseler Fi 103, ma Joseph Goebbels le ribattezzò V1, abbreviazione di Vergeltungswaffe1, ‘armi di rappresaglia1’, perché dovevano rappresentare la risposta tedesca allo sbarco in Normandia di una settimana prima, infondere nuove speranze di vittoria, alimentare le dicerie sull’esistenza di un’arma segreta e distogliere l’attenzione dall’avanzata degli angloamericani. Inizialmente gli inglesi furono impressionati da questa nuova arma, la cui efficacia si rivelò però molto inferiore alle aspettative dei tedeschi perché lenta, poco precisa e non manovrabile. Dopo le prime ondate (l’intensità degli attacchi contro Londra arrivò a cento bombe V1 all’ora che, in 80 giorni, provocarono oltre 6mila vittime e 17mila feriti), la difesa britannica divenne più reattiva, giungendo a neutralizzare oltre il 70 per cento delle bombe.
Nella pancia le V1, oltre al potenziale esplosivo, avevano in serbo un’altra arma segreta: messaggi di propaganda che venivano sganciati poco prima dell’impatto al suolo. Come si leggeva sull’intestazione, si trattava di P.o.w. Post – abbreviazione di prisoners of war post (‘posta dei prigionieri di guerra’) –, volantini che riproducevano le lettere manoscritte di prigionieri inglesi, con accanto il testo stampato in caratteri tipografici rossi. Erano indirizzate a mogli, genitori, fratelli, per rassicurarli con contenuti a volte scherzosi – come «papà, non bere tutte quelle meravigliose birre e, mamma, non dimenticare il plumcake» –, a volte improbabili: «qui cuciniamo piatti squisiti e da quando sono prigioniero non ho mai avuto fame», «ci divertiamo, c’è un grammofono e abbiamo stoffa e seta per cucire». Al piede comparivano i commenti delle autorità tedesche, come il comandante del campo o un medico, che rassicuravano sulle condizioni del prigioniero. Si trattava di messaggi che, pur firmati da soldati britannici realmente catturati, erano stati manipolati e censurati. Ma la propaganda non era tutto: nella parte alta del foglio, accanto al titolo o subito sotto, un box evidenziava una annotazione in rosso: «chi trova questo volantino è pregato di tagliare o copiare le lettere pubblicate e farle recapitare all’indirizzo indicato prima possibile. Le lettere originali sono state inviate tramite la Croce rossa attraverso il solito canale di invio postale». L’invito insospettì l’intelligence britannica che arrivò a ipotizzare che la provenienza delle lettere di risposta delle famiglie avrebbe agevolato il nemico nel perfezionare la traiettoria delle bombe. Nonostante l’ingegnosità del piano, la polizia britannica fu scrupolosa nel raccogliere e distruggere i volantini dispersi dalle V1.

Quanto vale
Si spiega così la grande rarità di questi documenti storici, il cui valore di mercato supera i 10mila euro. Sono conosciuti due tipi, uno in formato verticale e uno orizzontale. Il primo tipo conteneva tre lettere: una stampata sul fronte, due sul retro. Sul secondo le lettere erano quattro, due per ciascuna facciata.

V1-verticale

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