Mi chiamo Potter, Harry Potter
di Francesco De Carlo |
C’è una cosa che gli americani riescono a fare meglio di tutti gli altri popoli: sposare un carattere democratico, innovatore e modernista, che esportano in tutto il mondo, a una concezione molto etica della società. Le regole della morale – per intenderci, quelle vigenti nella gestione della cosa pubblica e dell’economia, o attinenti la privacy e le libertà personali – sono molto sentite, rispettate e protette. Si tratta di un aspetto della società americana che gli altri paesi portano spesso come esempio da copiare e, possibilmente, importare.
Ma ci sono altre cose che, invece, non possono non sembrare bislacche e stravaganti. Una riguarda la filatelia, un settore che negli States è più vivace che in Italia, governato da soggetti importanti come l’American Philatelic Society e l’United States Postal Service (l’amministrazione postale statunitense, comunemente abbreviata Usps), migliaia di collezionisti e centinaia di operatori. Si tratta dell’ultima – e non unica – polemica che riguarda un’emissione, quella del 19 novembre dedicata a Harry Potter: un graziosissimo souvenir booklet di cinque pagine, nel quale il mondo fantastico del maghetto nato dalla penna della scrittrice J.K. Rowling viene raccontato attraverso una breve storia dai contorni postali e dalle immagini di Harry, Ron Weasley, Hermione Granger e gli altri personaggi della saga, racchiusi nei 20 forever stamp autoadesivi.
Un’idea di marketing che va ad affiancarsi al filone Americana iniziato vent’anni fa con il francobollo di Elvis Presley e dedicato ai grandi personaggi della politica, della musica, del cinema, della letteratura e dello sport (da Ronald Reagan a Ray Charles da Katharine Hepburn a Gregory Peck). E, per non farsi mancare nulla, persino i Simpson, Bugs Bunny e tutti i personaggi della saga Disney hanno fatto la loro apparizione sui dentelli americani.
Ma, allora, cosa non va in questa emissione? Non sarà che qualcuno ha pensato sia sconveniente propagandare attraverso i francobolli una pratica come la magia? La realtà è ancora più strabiliante: quello che non è andato giù alla Citizens’ Stamps Advisory Committee è che a finire su francobollo non sia stato un blasonato personaggio a stelle e strisce, ma un «giovincello venuto da oltreoceano», un britannico!
La questione ha fatto infervorare il comitato etico che da oltre cinquant’anni affianca Usps nella scelta dei soggetti che meritano l’onore dei dentelli americani è che l’emissione del 19 novembre non rispetterebbe i sentimenti dell’opinione pubblica e gli interessi nazionali. Come se non bastasse, ci sono le parole di fuoco di John Hotchner, già membro del comitato nonché ex presidente dell’Aps, secondo il quale «Harry Potter non è americano, è uno straniero e l’iniziativa è sfacciatamente commerciale!». Insomma, quelli del comitato non l’hanno presa affatto bene: Harry Potter non fa parte della storia americana e non merita di stare sui francobolli americani. Punto.
Il postmaster general Patrick R. Donahoe si è astenuto dall’appoggiare i toni moralizzatori del comitato, dichiarando che l’emissione è volutamente commerciale perché a Usps servono maggiori entrate. Ma negli States l’etica patriottica molto spesso ha il sopravvento. E nel calderone della polemica sono finite anche altre emissioni non prettamente a stelle e strisce, come quella dedicata nel 2010 a Madre Teresa di Calcutta e nel 2001 alla pittrice Frida Kahlo, rea di essere messicana, comunista e bisessuale. In Italia non abbiamo di questi problemi: a mala pena commemoriamo i nostri eroi.