Poste e Ipo: cosa cambia per la filatelia
di Franco Latore |
Cosa c’è oltre l’ipocrisia, il conflitto d’interessi? Nel 1991 Guido Carli dà inizio alla privatizzazione di Poste italiane. Privatizzazione per modo di dire: nonostante la creazione di una società per azioni, il controllo resta totalmente in mano pubblica e ciò che prima era un insieme di servizi dello Stato per i cittadini (servizio postale, raccolta di risparmi) diventa oggetto di una convenzione con la Cassa depositi e prestiti. E pazienza se ci si è concentrati sul fronte bancario anziché su quello postale. A distanza di 23 anni, il successore di Carli, Saccomanni, può annunciare il passo successivo, con l’alienazione entro novembre del 40 per cento dell’azienda tramite Ipo sui mercati azionari. Gattopardescamente tutto cambia, perché questa volta è prevista la possibilità che i dipendenti partecipino all’operazione, mettendo in gioco anche i loro tfr per ottenere azioni (e alleggerire i conti aziendali). Gattopardescamente perché il controllo resterà ancora saldamente in mano pubblica. Magari, dovendo il management rispondere delle performance del titolo e della compagnia in un mercato obbligatoriamente aperto alla libera concorrenza, ci si concentrerà ancora di più sui servizi remunerativi (accelerando sulla trasformazione degli sportelli postali in negozi che vendono prodotti finanziari) che sui servizi per la comunità (come l’operatività degli uffici nelle piccole località e il trasporto postale). Paradossalmente i servizi alla comunità dovrebbero essere il cuore della convenzione tra la Spa e lo Stato, convenzione che proprio per garantire la maggiore vendibilità delle azioni passerà ad avere una validità temporale più ampia, alla faccia del libero mercato.
In tutto questo si innesta il gioco delle poltrone. Ialongo, ancora potente ex leader sindacale, sente traballare lo scranno da presidente già dai tempi del Governo Letta, mentre l’insicurezza di Sarmi per il quarto mandato da amministratore delegato è più legata al rottamatore Renzi, cui spetterà il ruolo di designatore. Probabilmente a Pasqua si apriranno le uova per scoprire i nomi del nuovo ad (anche se difficilmente quanto è trapelato intorno alla fine dell’anno troverà confermati rumors che hanno visto ora Greco, amministratore delegato di Generali, ora Masi, chiacchierato ex direttore generale di Rai, tra i favoriti), mentre a maggio si vedrà il cda riunito.
Intanto è caduto il velo sulla cenerentola di casa Poste. La filatelia in questo scenario non poteva che essere asservita alle regole del marketing. Ma la legge dei numeri la vuole meno importante anche dei libri e delle penne venduti negli (ex) sportelli postali. Quindi la Divisione indipendente lascia il passo a un servizio inquadrato sotto l’ala di Pasquale Marchese (manager che non sembra temere né personalmente né dal punto di vista operativo i prossimi cambi di vertice), con relative diminutio di status per gli addetti.
Ma in tempi di finanza e ipo, non sarebbe stato più ortodosso ricorrere a uno spin off per questa specifica attività e cogliere l’occasione per sanare l’ipocrisia e il conflitto d’interessi facendo tornare tutta la filiera filatelica (emissioni, produzione, distribuzione, vendita) in seno statale? Ah già, Marchese ha promesso di portare a 172 gli addetti formati alla filatelia e distribuire tutte le emissioni in tutti gli sportelli. Buon per i collezionisti che lui deve far cassa…