Per la testa di Ferdinando: i francobolli di Sicilia
di Mario de Costantini |
Al centro del Mediterraneo, la Sicilia vide susseguirsi le principali civiltà classiche e postclassiche: punici, greci, romani, bizantini, arabi, normanni, angioini. La rivolta dei Vespri del 1282 contro Carlo d’Angiò la consegnò agli Aragonesi spagnoli. Agli inizi del XVI secolo divenne possesso diretto della Spagna, che installò a Palermo un viceré. Per un breve periodo del Settecento fu dei Savoia, che acquisirono così il titolo reale, per poi diventare dei Borboni, che regnavano anche sul Napoletano. Al fine del secolo il re, che risiedeva a Napoli, si trasferì in Sicilia per sfuggire dapprima all’effimera rivoluzione napoletana e pochi anni dopo alle armate napoleoniche.
Il congresso di Vienna assegnò il trono di Napoli e di Palermo a Ferdinando di Borbone. Fu sancita l’unione dei due regni di Napoli e di Sicilia, pur con amministrazioni diverse nei domini continentali («al di qua del faro» di Messina) e in Sicilia («al di là del faro»). Ferdinando, diventato re delle Due Sicilie, assunse l’ordinale I. Nel 1825 gli succedette il figlio Francesco I, seguito nel 1830 da Ferdinando II. Il nuovo sovrano acquisì un ruolo autonomo nel concerto europeo, ammodernò la macchina burocratica, concesse una costituzione nel 1848, per poi revocarla, attuare una stretta assolutista reprimendo la rivolta di Messina, bombardando la città e guadagnandosi così l’appellativo di Re bomba.
Negli anni Cinquanta la parte insulare del Regno, di 26mila chilometri quadrati, era abitata da poco più di 2 milioni di persone. La moneta era la stessa della parte continentale, ovvero il ducato di 100 grana, che valeva 4,24 lire italiane. Nell’isola circolava anche il grana siciliano, che valeva la metà.
I francobolli
Nel 1858 erano già stati emessi i francobolli nel Napoletano, l’amministrazione siciliana invece non aveva ancora provveduto. A marzo di quell’anno l’incisore Giuseppe Barone sottopose spontaneamente al viceré di Sicilia saggi di francobolli di piccole dimensioni prodotti in stampa tipografica e rilievo, con la corona e i gigli borbonici.
Nello stesso periodo, però, il pittore Carlo La Barbera fu incaricato ufficialmente di realizzare i francobolli per l’isola: preparò un soggetto unico, con il profilo del re incorniciato dalle scritte necessarie; realizzò quindi un foglio con sette prove delle cornici in litografia in diversi colori, nonché il profilo del monarca in fotografia ritoccata ad acquerello; aggiunse una prova di annullamento e una prova di francobollo completo. Questo foglio, preparato per essere sottoposto all’approvazione del sovrano, è oggi noto come Scrigno Juvara ed è una gemma della filatelia mondiale.
A Ferdinando II il bozzetto non dispiacque e la realizzazione fu affidata a un incisore di vaglia: il messinese Tommaso Aloisio (o Aloysio) Juvara, nipote dell’architetto Filippo Juvarra, esponente del barocco, che aveva lavorato a Torino per casa Savoia. Tommaso Juvara era nato nel 1809, aveva studiato a Roma e in Europa, dove si era perfezionato imparando e applicando tecniche d’avanguardia; nella sua città natale era docente all’università. Juvara lavorò alle incisioni dei francobolli, preparando i saggi definitivi su foglietti contenenti l’effige e i sette punzoni per il valore: il re approvò anche questi. Infine i tipografi Giuseppe La Barbera e Francesco Lao stamparono i francobolli, che uscirono il 1° gennaio 1859.
Erano sette valori: ½ grano giallo, 1 bruno, 2 azzurro, 5 rosa, 10 azzurro scuro, 20 grigio, 50 bruno. La qualità della stampa, la finezza dell’incisione, l’eleganza dell’impaginazione, la brillantezza dei colori produssero un risultato di grande qualità: oggi i francobolli di Sicilia – famigliarmente chiamati Testoni – sono ritenuti fra i più belli ed eleganti della filatelia classica internazionale. Ferdinando II, però, poté goderseli per poco tempo, perché morì nel maggio di quell’anno. Gli successe il figlio Francesco II, che sarebbe rimasto sul trono solo pochi mesi, cacciato dall’unità d’Italia. Anche i Testoni non rimasero in corso a lungo: di lì a un anno e mezzo Garibaldi sarebbe sbarcato nell’isola, cambiando la storia e la filatelia…
La stampa
I francobolli furono stampati in calcografia in fogli da 100 esemplari, su tavole ottenute duplicando il conio originale di Juvara. Per qualche taglio di uso più frequente furono necessarie più tavole (due per il ½ grano e il 5 grana, tre per l’1 e il 2 grana). La calcografia permetteva di ottenere francobolli di grande nitidezza, ma faceva sì che le tavole da stampa si usurassero velocemente: ogni tanto erano necessari piccoli aggiustamenti delle incisioni, che si riflettevano sulla stampa e che sono riconoscibili. I filatelisti li chiamano ritocchi e, insieme ad altre particolarità, permettono il plattaggio (dall’inglese plate, ‘tavola di stampa’), cioè la ricostruzione delle tavole ponendo ognuno dei cento esemplari nella propria posizione. Molti collezionisti di Sicilia si sono cimentati in queste ricostruzioni, uno degli esercizi più tradizionali e appassionanti della filatelia classica.
La possibilità di plattaggio non è l’unica particolarità dell’emissione. Esistono anche variazioni di colore abbastanza consistenti, soprattutto per l’1 grana, che spazia dal bruno ruggine al verde oliva chiaro o grigio, e il 5 grana, noto in rosa carminio e in vermiglio, chiaro e scuro.
Né manca uno dei più classici errori, quello di colore. Esiste infatti il ½ grana azzurro anziché giallo, che il catalogo classifica come francobollo naturale: ne sono noti solo due esemplari usati, che in origine affrancavano la stessa lettera, dalla quale furono poi staccati.
Gli specialisti distinguono anche la carta: le prime tirature furono stampate su carta porosa, di qualità scadente, conosciuta come carta di Napoli, sostituita successivamente dalla carta di Palermo, bianca, spessa e levigata, di migliore qualità (i tagli da 1, 10, 20 e 50 grana esistono solo su carta di Napoli, gli altri valori su entrambe).
La tiratura complessiva dei francobolli non fu elevatissima e nessuno venne esaurito. Dopo la cessazione di validità, le rimanenze vennero inviate a Torino, e negli anni seguenti furono vendute ufficialmente ai collezionisti a prezzo d’affezione, assieme ai tanti altri francobolli fuori corso in possesso del ministero.
Il bollo annullatore
I francobolli di Napoli venivano colpiti da bolli di varia foggia con la scritta annullato; per quelli di Sicilia c’era però il problema che raffiguravano la regale effigie del sovrano, che non doveva essere deturpata. Il problema fu risolto disegnando un curiosissimo tipo di annullo: una U rovesciata molto elaborata, che avrebbe annullato il francobollo senza violare il volto del sovrano, mentre a lato, sulla lettera, sarebbe andato il bollo datario con l’indicazione della località di partenza. Anche l’incisione dei bolli a U è opera di Juvara: i filatelisti li chiamano ferro di cavallo.
Quanto vale
La quotazione degli esemplari nuovi, linguellati, di qualità perfetta, varia da esemplare a esemplare: il ½ grano è quotato 1.440 euro; l’1 e il 2 grana rispettivamente 600 e 330 euro; più cari il 5, 10, 20 e 50 grana, quotati rispettivamente 1.710, 1.710, 2.250 e 1.950 euro. Il francobollo più importante su lettera è il 50 grana: sono noti circa 70 documenti completi affrancati con questo esemplare.