Il Polluce e il Mongibello
DI ALESSANDRO ARSENI |
Poteva dirsi soddisfatto, Raffaele Rubattino, nei primi mesi del 1841. Era riuscito a sfruttare il Dante e il Virgilio, le sue navi a vapore, anche la domenica. Se la concorrente compagnia di navigazione napoletana organizzava gite all’isola di Ischia o crociere intorno alla Sicilia, anche le sue “corse a piacere” a Portofino, Chiavari e Rapallo si erano rivelate un successo. Solo cinque lire all’andata, otto col ritorno. L’importante era abituare la gente alla confidenza con i piroscafi. E in quegli anni tutti i monarchi d’Europa erano tra i primi a fare un giretto sui battelli a vapore, decretandone il successo. I cantieri inglesi, pionieri della meccanica, erano sommersi dalle richieste di queste navi, e quando non riuscivano a completarne una, fornivano solo i motori, delegando ai francesi la costruzione dello scafo nei cantieri di Le Havre. Ormai le macchine erano state perfezionate, meno ingombranti e più potenti. I piroscafi di Rubattino però dovevano solo costeggiare la penisola, scendere fino a Napoli toccando Livorno e Civitavecchia, risalire fino a Marsiglia e di nuovo giù. Il servizio funzionava e i bilanci della De Luchi-Rubattino parlavano chiaro. Rubattino, però, attendeva con ansia i suoi due nuovi gioielli: il Castore e il Polluce, battezzati come i figli di Zeus, i mitici argonauti. Aveva ordinato le macchine nei cantieri inglesi di Blackwall e fatto allestire gli scafi nei cantieri Normand di Le Havre. Entrambe le navi avrebbero servito la linea d’Italia, con scali da Marsiglia a Napoli. Il 25 aprile 1841 il Polluce attraccò a Genova. Era costruito in legno, foderato di rame, mosso da due grandi ruote ai lati dello scafo. Poteva trasportare circa 60 passeggeri, l’equipaggio era composto da 35 marinai. Dopo qualche giorno di sosta nel porto, il 30 aprile la nave partì alla volta di Livorno, Civitavecchia e Napoli, dove giunse il 3 maggio. Ripartito il 5 per il viaggio di ritorno, il giorno dopo si fermò ancora a Civitavecchia dove imbarcò posta, come aveva già fatto negli altri scali. Tra le lettere consegnate a bordo, una esiste ancora ed è considerata l’unica conosciuta viaggiata a bordo del Polluce. Sarebbero state due, se il 12 maggio 1841, a Marsiglia il destino non l’avesse fatto incontrare, la prima volta, col Mongibello. A Marsiglia, quel giorno una brezza di ponente annunciava la primavera avanzata. Il nuovo, fiammante, vapore Mongibelllo era appena arrivato da Londra. Eccolo lì: lo scafo nero lucente, gli ottoni fiammanti e, sotto coperta, bronzi, marmi e specchi con cornici dorate. Nessuna nave possedeva un tavolo da pranzo in mogano per ottanta posti e cristalli ai finestrini che permettevano una vista panoramica! Il Polluce era ormeggiato vicino: giunto da due giorni, caricava merci, posta e passeggeri per tornare a Genova e da qui scendere a Livorno, Civitavecchia e, infine, Napoli. Da Marsiglia le due navi partirono insieme e percorsero affiancate un tratto di mare, poi il Mongibello si staccò e si diresse verso Napoli. Ma una tragedia, la prima della marina mercantile italiana, incombeva. Nella notte tra il 17 e il 18 giugno 1841, il Polluce colò a picco, in pochi minuti, dopo lo scontro in mare aperto col Mongibello.
Prima di mezzanotte le due navi si trovarono entrambe nel canale di Piombino, a cinque miglia dalla costa. Secondo le testimonianze, dalla nave sarda «si vide in lontananza un fanale che si giudicò essere di un vapore, e il capitano ordinava tosto al timoniere di appoggiare alla sua dritta onde evitare uno scontro e così si fece; ma il fanale si avvicinava sempre, ed invano l’equipaggio del Polluce gridava a tutta gola in italiano, francese e inglese all’altro legno che appoggiasse, e volgesse alla sua dritta. Tutto fu vano! Il Mongibello investì il Polluce alla sinistra, ed in meno di 15 minuti si riempì d’acqua e calò al fondo. Ed è possibile ridire lo spavento e la confusione di quell’istante!». Il Mongibello imbarcò i passeggeri e l’equipaggio del Polluce (ci fu una sola vittima) e rientrò a Livorno per sbarcarli. La nave napoletana non fu trattenuta; in fin dei conti erano questioni che non interessavano il governo toscano, ma i sardi e i napoletani. Che se la sbrigassero loro. Il Mongibello, arrivato a Napoli il 21 giugno, fu destinato al servizio in Sicilia, fino a quando le acque non si fossero calmate. La causa fra le due compagnie di navigazione si sarebbe conclusa anni dopo, con scarsi risultati finanziari per Rubattino. Nelle ricerche del relitto del Polluce la compagnia impiegò il Virgilio e il Dante: lo scafo fu localizzato su un fondale a circa 100 metri dalla superficie. Rubattino investì notevolissime risorse per il suo recupero. Perché? La risposta arriva nel febbraio del 2000, quando un gruppo di inglesi inizia le ricerche nella zona: per una ventina di giorni scandagliano il fondale, sollevano tonnellate di materiale distruggendo gran parte del relitto ma recuperando migliaia di monete, gioielli, orologi, porcellane. Il resto è cronaca: la soprintendenza ai beni archeologici toscana recupera gran parte dei preziosi già destinati a un’asta in Inghilterra, in cambio dell’impunità degli autori dello scempio. Cinque anni dopo stipula un contratto con un’impresa ravennate per il recupero dei preziosi ancora sott’acqua, ma il contratto scade per decorrenza dei termini e non viene rinnovato per mancanza di fondi. Agli studiosi di storia postale marittima restano le lettere, trovate forse fra tante in qualche mercatino, testimoni della breve storia di una nave che ha navigato per 53 giorni tra Marsiglia e Napoli.