Vittorio strizza l’occhio a Vittoria
DI MARIO DE COSTANTINI |
La dinastia dei Savoia è originaria dell’omonima regione transalpina ai confini del Piemonte e della Valle d’Aosta. Il suo albero genealogico risale al X secolo con il fondatore Umberto Biancamano, morto nel 1048. Conti e poi duchi, in età moderna spostarono i propri d’interessi verso l’Italia, stabilendo la residenza e la capitale a Torino. Nel 1713 ottennero la Sicilia e con questa, che era un regno, il titolo regio. Sette anni dopo, nel 1720, barattarono la Sicilia con la Sardegna, acquisendo il titolo di re di Sardegna, pur continuando a mantenere la capitale a Torino e il baricentro dello stato in Piemonte. In epoca napoleonica lo stato fu oggetto di cambiamenti: prima il Piemonte fu inglobato nell’impero francese, poi il Congresso di Venna ricostituì lo stato sabaudo, concedendogli anche la Liguria, già appartenente alla Repubblica di Genova. Nel 1815 gli Stati sardi comprendevano quindi Piemonte, Savoia, Nizzardo, Liguria e Sardegna – per poco più di 75mila chilometri quadrati – oltre all’enclave del principato di Monaco. Sul trono si succedettero Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, che regnarono sull’unico stato italiano libero dall’influenza austriaca, attuando però una politica reazionaria e retriva. La svolta ci fu con Carlo Alberto, sul trono nel 1831: raccolse le speranze dei patrioti, promulgò lo statuto e partecipò alla Prima guerra d’indipendenza contro l’Austria. Sconfitto, abdicò, e il 23 marzo 1849 gli successe il figlio Vittorio Emanuele II, che iniziò a regnare su poco più di 5 milioni di abitanti.
I francobolli
Dopo il Lombardo-Veneto, la Sardegna fu il secondo antico stato italiano che emise francobolli. Lo fece il 1° gennaio 1851 con tre valori, da 5, 20 e 40 centesimi, corrispondenti alle tariffe più in uso. Il disegno fu affidato a Giuseppe Ferraris, la stampa alla tipografia di Francesco Matraire, nel centro di Torino. Uno stabilimento per l’epoca importante e attrezzato, ma ancora lontano dalle capacità di produzione industriale che allora la stampa aveva già raggiunto. Matraire realizzò i tre valori in litografia su una carta spessa e senza filigrana, in due gruppi affiancati di 25 francobolli. Il soggetto era il medesimo e si ispirava al Penny Black britannico, con Vittorio Emanuele II invece della regina Vittoria: le scritte necessarie, il valore in cifre e in lettere e, al centro, il profilo del re, ricavato dalle monete d’oro da 10 e 20 lire allora in corso.
I colori scelti furono il nero, l’azzurro e il rosa. Ne furono stampati rispettivamente 240 mila, 900 mila e 90 mila. Sono noti solo tre fogli da 25 esemplari, uno per ciascun valore, già appartenenti alla collezione Rothschild e ora conservati al Museo postale italiano.
Poco più di due anni dopo, il 1° ottobre 1853, i tre valori furono sostituiti da altri – il colore del primo era cambiato da nero a verde – con disegno e diciture simili, ma con la stampa impressa a secco e in rilievo su carta colorata.
La tiratura fu di 125 mila, 300 mila e 50 mila esemplari. Passarono solo pochi mesi e nell’aprile 1854 questa serie, che non era facilmente leggibile, fu sostituita da un’altra – la terza emissione – di più facile lettura, con i medesimi valori, i colori verde, azzurro e rosso e le diciture e l’effigie impresse a secco in rilievo. Questa volta, però, la carta era bianca e il colore era ottenuto litograficamente, lasciando bianco l’ovale centrale con il busto del re. La tiratura fu di 200mila, 400mila e 50mila francobolli. Nel 1854 fu preparata un’altra versione, con rilievo meno accentuato e colori leggermente diversi, che però non venne posta in circolazione.
La quarta emissione uscì nel mezzo dell’anno seguente FOTO 4. La stampa dei bordi e delle diciture era in litografia, mentre l’effigie centrale, su fondo bianco, campeggiava in rilievo (sono noti anche valori naturali senza l’effigie). La serie era composta da un numero di tagli maggiore: 5 centesimi verde, 10 bistro, 20 indaco, 40 carminio, 80 giallo e 3 lire rame, uscito, quest’ultimo, all’inizio del 1861. L’emissione, l’ultima di Sardegna e la prima d’Italia (rimase in corso sino al 1863), è stata testimone delle vicende del Risorgimento e dell’unificazione: per la sua durata, l’interesse dei suoi aspetti filatelici e di quelli storici, è senz’altro una delle più affascinanti dell’intero album italiano.
Un mare di colori
La caratteristica filatelica principale della quarta emissione è la grandissima varietà di colori. Per realizzare le nuove provviste richieste (soprattutto a partire dal 1861, quando il territorio d’uso aumentò molto e fu necessario realizzare tirature sempre più cospicue) la tipografia di Matraire faceva quanto poteva. Ma non utilizzava inchiostri prodotti industrialmente, quindi con un buon grado di standardizzazione; li preparava artigianalmente miscelando le produzioni del momento, con risultati così discontinui da ottenere francobolli sensibilmente diversi. Gli specialisti hanno catalogato le diverse tinte ottenute, suddividendole per anno, arrivando a classificarne fino a più di una trentina per francobollo. Per esempio, il valore da 20 centesimi varia dal cobalto al celeste all’azzurro all’indaco, ciascuno con diverse sfumature, riflessi e contaminazioni. Solo il 3 lire, che ebbe una tiratura molto inferiore, non presenta tutte queste varietà.
Sardegna o Italia?
La prime tre emissioni del Regno di Sardegna furono usate, salvo rarissime eccezioni, negli antichi territori del Regno (oltre che a Monaco e nell’ufficio postale di Tunisi); la quarta iniziò la propria vita nel Regno di Sardegna ma la concluse nel Regno d’Italia, in continuità dinastica e reale. Se la quarta, quindi, appartiene indiscutibilmente all’album italiano, per motivi ideali oltre che iconografici vi appartengono anche i francobolli precedenti, e quindi il catalogo Bolaffi li ha da tempo trasferiti dal capitolo Antichi stati a quello Italia.
Quanto vale
La prima emissione, nuova, supera i centomila euro, mentre usata vale 11mila euro. La seconda vale rispettivamente 124 mila e 4.500 euro, la terza supera i 45 mila euro nuova, si attesta sui 7 mila usata. La terza non emessa vale 13mila euro. La quarta emissione completa nuova, nelle tinte più comuni, è quotata 3.500 euro, di cui rispettivamente 1.050 e 2.250 sono riservati al 20 centesimi e al 3 lire. Alcuni colori rari possono raggiungere quotazioni ben più elevate. Usati, il 3 lire supera i 5mila euro; è noto solo su 42 lettere e tre grandi frammenti. La quarta emissione naturale, senza effigie, supera i 23 mila euro.
i “non emessi” non furono approntati per essere emessi ma sono resti di stampa per provare la gommatura prima dell’impressione dellìeffige. la treza emissione nuova vale molto molto di oiù perchè quasi non esiste. il valore è solo di catalogo di percato si attesta al 20 per cento di quanto detto sopra. comunque ottimo articolo grazie sempre per la divulgazione