I relè della Terra di Mezzo
di Federico Bottigliengo
Origine ed evoluzione del sistema postale cinese
«L’autorevolezza dei giusti viaggia più velocemente di un editto reale inviato da una stazione postale». Questo breve aforisma, pervaso d’antica saggezza, è la più antica testimonianza di un sistema postale cinese, poiché attribuito al filosofo Confucio (551-479 a.C.) e citato nei testi del confucianesimo.
Il primo documento scritto che menziona l’argomento è infatti successivo a Confucio, seppure profondamente influenzato dalla sua dottrina filosofica. Si tratta un testo di gerarchia sociale, i Riti degli Zhou (IV secolo a.C. ca.), una lista di funzionari statali ripartiti in sei gradi, che ispirarono la suddivisione dei ministeri imperiali, durante la dinastia Zhou (1046-246 a.C.).
Nella tredicesima sezione, quando si arriva al soprintendente alle provvigioni statali, è descritto il sistema delle stazioni, poste a intervalli regolari sul complesso stradale: «sono incaricati a supervisionare gli approvvigionamenti disposti sulle strade. In generale, sulle strade del regno e delle campagne esterne c’è, ogni dieci li (misura variabile tra i 350 e i 400 metri n.d.a.), un rifugio o una capanna; in questo rifugio si trova da bere e da mangiare. Ogni trenta li c’è anche un albergo: in questo punto c’è una casa di strada e, nella casa, una certa quantità di provvigioni. Ogni cinquanta li c’è un mercato o un luogo di vendita; nel mercato c’è un ostello per riposare e, nell’ostello, un grande quantità di provvigioni».
Altre informazioni provengono dallo Shiji (‘Memorie di uno storico’) di Sima Qian (145-86 a.C.), considerato il più grande storico della Cina antica. La monumentale opera accenna all’esistenza di un sistema postale a relè di cavalli installati a intervalli fissi, per far viaggiare più velocemente i documenti. Il sistema sarebbe stato riorganizzato da Qin Shi Huang, primo imperatore della Cina unificata (221-210 a.C.) – quello dell’esercito di terracotta, per intenderci – e successivamente potenziato dai sovrani della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.). Questo servizio trasportava solamente la corrispondenza di stato, poiché era funzionale alla sorveglianza del territorio
Sotto le dinastie T’ang (618-907) e Song (960-1279) il sistema fu perfezionato. A quel tempo erano collocati mille e seicento relè che alloggiavano dagli otto ai sessanta cavalli ciascuno, perfettamente monitorati e curati; le stazioni di sosta erano integrate da una locanda e da magazzini, approvvigionati dai campi circostanti, coltivati da personale statale sottoposto a corvè. La corrispondenza ordinaria viaggiava a una velocità compresa tra gli ottanta e i centoventi chilometri al giorno, quella urgente invece fino a trecentoventi. La rete di comunicazione sembra aver coperto più di trentaduemila chilometri, con la presenza di circa quarantamila cavalli e ventimila addetti lavoratori; il costo di mantenimento, elevatissimo, doveva aggirarsi a poco più della metà dell’intera spesa pubblica.
Il Gran Khan dei Mongoli, Kubilai (1260-1294), nipote del famoso Gengis Khan (1206-1227), era così innamorato della cultura cinese, che decise di farla propria. Letteralmente. Riuscì nell’intento, tanto da essere proclamato imperatore della Cina il 18 dicembre del 1271 e unificare tutte le terre rette dall’ex dinastia Song entro il 1279. Nel capitolo LXXXIII del Milione, il viaggiatore veneziano Marco Polo (1254-1324), rimasto per diciassette anni alla corte di Kubilai Khan, poté rendersi conto della straordinaria estensione del sistema di comunicazione cinese, portato alla massima efficienza sotto l’impero mongolo: la vecchia rete cinese di trentaduemila chilometri fu quasi raddoppiata a sessantamila, permettendo alla corrispondenza di viaggiare fino a un massimo di quattrocentocinquanta chilometri al giorno. Ecco la descrizione che Marco Polo fa delle stazioni di posta: «In ciascuna strada, dico di quelle che sono le piú principali et maestre, sempre, in capo di venticinque miglia o trenta, et piú et manco secondo le distantie delle città, si trovano alloggiamenti che nella lor lingua si chiamano “lamb” (corruzione del termine mongolo jam, che designa il servizio di ricambio postale n.d.a.), che nella nostra vuol dire ‘poste di cavalli’, dove sono palazzi grandi et belli, che hanno bellissime camere con letti forniti et paramenti di seta et tutte le cose condecenti a’ gran baroni. Et in ciascuna di simil poste potrebbe un gran re honoratamente alloggiare, et gli vien provisto del tutto per le città o castelli vicini, et ad alcuni la corte vi provede. Quivi sono di continuo apparecchiati quattrocento buon cavalli, et accioché tutti li nuntii et ambasciadori che vanno per le faccende del Gran Can possino dismontare quivi e, lasciati i cavalli stracchi, pigliarne di freschi».
Quanto vale. Quasi tutte le più antiche testimonianze scritte pertinenti all’area cinese sono conservate in istituzioni museali e sono praticamente irreperibili sul mercato collezionistico.