Il de profundis dei francobolli di Repubblica?
Alcune scelte di Poste italiane rischiano di affossare il collezionismo dei francobolli di Repubblica. Di Giulio Filippo Bolaffi
Anche il 2019 si è aperto filatelicamente con l’uscita del Libro dei francobolli, il volume in cui Poste italiane raccoglie le emissioni dell’anno appena concluso. Nell’edizione 2018 la dovrebbe far da padrona la tradizione; infatti la veste editoriale strizza l’occhio al passato in controtendenza con i volumi graficamente più moderni degli anni precedenti. In realtà il contenuto rivela una sorpresa rivoluzionaria. Infatti, insieme a tutti i valori del 2018, che il collezionista (a torto o a ragione) si trova costretto ad acquistare per completare l’annata, come bonus – ma obbligatorio e ovviamente a pagamento – si trovano anche cinque esemplari della serie Alti valori con facciali di 1.500, 2.000, 3.000, 4.000 e 5.000 lire (oggi equivalenti a otto euro), che non si sa bene perché siano finiti nelle caselle del 2018 ben quarant’anni dopo.
È la prima volta che Poste obbliga i collezionisti a “ingoiare” vecchie emissioni. Credo che questa iniziativa – che spero sia un una tantum – vada collegata alle preoccupanti notizie di cronaca finanziaria (da leggere l’articolo C’è da piazzare uno stock) che una “geniale” mente economico-filatelico ha inserito nell’ultima legge di stabilità. Un emendamento prevede infatti la vendita dello “stock ministeriale”, cioè dei francobolli di proprietà del ministero dello Sviluppo economico affidati in custodia a Poste italiane.
Quali conseguenze questa iniziativa possa avere sul mercato filatelico dipenderà anche dalle modalità e dalle tempistiche che sanno messe in atto. Pensare di far cassa sulle spalle dei collezionisti è però molto pericoloso. Se da un lato la domanda di questi francobolli è già stata più che ampiamente soddisfatta da commercianti e privati al momento dell’emissione (anche per le tirature enormi, non giustificate né dall’uso postale né da quello collezionistico), dall’altro il mercato dei moderni francobolli della Repubblica – che sono quelli che compongono questo stock – non vive purtroppo un momento roseo. L’eventuale vendita dello stock non farebbe altro che deprimere ulteriormente il collezionismo dei nostri francobolli moderni, relegando per sempre i commemorativi al ruolo di mere etichette, disponibili in quantità illimitate. E comunque, nelle casse del Mise entrerebbero solo pochi spiccioli.
Se invece il progetto prevedesse di abbinare vecchi francobolli a prodotti più moderni (come il “libro dell’anno”), Poste si troverebbe a svolgere l’attività di commerciante filatelico, un ruolo da cui si è sempre tenuta lontana, sostenendo che i commercianti stessi fossero suoi principali clienti… Se comunque ciò avvenisse, non credo che sarebbe necessariamente un male. Infatti questa nuova realtà commerciale riuscirebbe ad avere un impatto forte sul mercato, creando nuovi collezionisti grazie anche all’ingente quantità di francobolli a disposizione nei propri magazzini. Temo però che se invece l’obiettivo fosse “spolpare” i collezionisti attuali, imponendo vecchie emissioni in aggiunta a quelle nuove, allora il de profundis dei francobolli di Repubblica verrebbe scritto lapidariamente proprio da chi invece dovrebbe essere il principale difensore degli interessi dei collezionisti di quei francobolli.