Quota 100 e altre storie
Non c’entra la pensione, ma l’inutile diluvio di emissioni italiane del 2019. E ancora, l’assenza di un interlocutore specifico dentro il Mise, due emissioni incomprensibili e due interrogazioni parlamentari. Infine la filatelia in televisione e la creazione di un polo museale per i francobolli. Fra iniziative opinabili e qualcuna indiscutibilmente positiva cosa sta succedendo nel mondo del collezionismo filatelico.
Di Domitilla D’Angelo
Quota 100: ma siamo pazzi?
Emissione dopo emissione, i francobolli italiani del 2019 sono diventati cento. Sì, avete letto bene, cento! Erano 99 sino a fine novembre: forse per pudore ci si era fermati a uno meno di cento, o forse come nei prezzi dei prodotti dove 99,99 euro fa psicologicamente meno effetto di cento… Poi però è arrivato l’annuncio dell’integrativa calendarizzata per il 13 dicembre di cui non si sentiva davvero bisogno, i trecento anni dell’istituzione del porto franco di Trieste, che porta a cento i dentelli da inserire nell’album italiano 2019. Certo, l’argomento è caro al ministro delle Sviluppo economico Stefano Patuanelli (titolare anche delle politiche delle emissioni delle cartevalori dello Stato), che proprio in un’intervista rilasciata pochi giorni prima dell’annuncio dell’integrativa sottolineava davanti alle 500 più importanti aziende del Friuli-Venezia Giulia il ruolo della città come zona extradoganale. Allo stesso modo – sempre con interessi specifici del Governo e legati all’opportunità politica del momento – si può spiegare anche l’inserimento del francobollo per Cassa depositi e crediti, l’istituzione finanziaria (di cui il Mef, il ministero dell’Economia e delle finanze, è azionista di maggioranza) che potrebbe giocare un ruolo fondamentale nelle partite dell’ex Ilva e di Alitalia. Comunque, eccoci a cento francobolli per 69 uscite, che diventano 71 se si scorporano le due riunite sotto lo stesso “cappello” il 21 giugno e le due del 5 novembre.
Ma le Linee guida emanate per volontà dell’allora sottosegretario Antonello Giacomelli, in forza al Pd, nel 2017 per conto del Mise, il ministero dello Sviluppo economico, non ponevano il limite massimo a quaranta? Sembra proprio di sì, e infatti ecco il passaggio: «Nell’elaborazione del Programma, l’Amministrazione si attiene ai seguenti criteri di massima: autorizzazione di un numero di emissioni non più di 40 l’anno».
È difficile immaginare che questa prodigalità di emissioni (in parte patrocinata dall’ex viceministro, il leghista Dario Galli) sia dovuta a un massiccio e irrefrenabile bisogno di francobolli per affrancare la posta. È, piuttosto, propagandistico e a uso quasi esclusivo dei collezionisti, gli unici che continuano con fedeltà a presidiare e soprattutto finanziare il settore “filatelia”. Un finanziamento che per l’album 2019 è costato 121,8 euro e che, ipotizzando siano attorno a 15mila i collezionisti di nuove emissioni, porterebbe nelle tasche di Poste quasi due milioni di euro in contropartita di nessun servizio, perché all’acquisto di francobolli da parte degli appassionati non corrisponde quasi mai il loro uso postale.
Ora, collezionisti di novità d’Italia, sicuri di volere ancora colmare tutte le caselle con francobolli, tra l’altro, contenutisticamente non sempre interessanti e graficamente mediocri? E dire che basterebbe prestare orecchio proprio ai filatelisti che neanche troppo sommessamente da tempo fanno sapere che un numero così elevato di emissioni non è di loro gradimento. Lo sanno i referenti filatelici di Poste italiane, che raccolgono le loro proteste agli sportelli, e lo sanno anche i vertici di Poste, perché gli operatori e le associazioni di settore, unanimemente, da anni ribadiscono il fatto che troppi francobolli nuocciono al settore.
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