Un puro esercizio di filosofia
Quotazioni immobili e pagine e pagine di “figurine”: ha davvero ancora senso il catalogo annuale dei francobolli nella sua forma tradizionale?
Di Giulio Filippo Bolaffi
È tradizione che il primo numero dell’anno del Collezionista coincida con l’uscita dei cataloghi Bolaffi dei francobolli italiani. Anche questa volta a fine marzo (a seguito dell’emergenza coronavirus l’uscita è stata posticipata a data da definire ndr) viene presentata un’edizione con poche variazioni di prezzo e integrata con le pagine delle nuove emissioni.
In filatelia molte cose si fanno per continuità e abitudine: probabilmente, tra queste, anche l’acquisto da parte dei collezionisti dei nuovi cataloghi (che sia il Bolaffi o gli altri due principali, Sassone e Unificato) che quindi gli editori continuano a pubblicare “aggiornati”. Se una volta si provava un certo fremito nello scorrere le novità apportate rispetto all’edizione precedente, oggi il collezionista aspetta il nuovo catalogo… con la stessa trepidazione con cui si attende la millesima puntata di una telenovela brasiliana!
La verità è che la forma tradizionale dei cataloghi non è più in grado di comunicare i cambiamenti delle quotazioni di mercato e neppure di accogliere delle “novità” vere, nel senso letterale della parola, rappresentate dalle nuove emissioni delle amministrazioni postali. Sono questi i due macrotemi su cui intendo dirigere la mia attenzione.
L’evoluzione del mercato ha fatto sì che mercanti e collezionisti si siano così specializzati da differenziare il valore dei loro francobolli in base a una moltitudine di criteri che un semplice foglio di carta non è più in grado di riassumere. Se una volta, parlando di francobolli singoli, ci si “accontentava” di una differenza di prezzo tra il nuovo con gomma integra, quello con linguella e l’usato, oggi la valutazione cambia notevolmente, anche in base a innumerevoli altri parametri: lo stato qualitativo, il pedigree dell’esemplare, il certificato che lo accompagna e molte altre variabili.
Uno stesso francobollo può avere quindi una forchetta di prezzo amplissima, ma un catalogo cartaceo può però riportare solo un prezzo. Da molti anni il Bolaffi ha scelto di indicare il più alto valore teorico possibile (corrispondente alla qualità 100%), mentre altri editori hanno scelto parametri diversi: tutti comunque presentano solo un prezzo di riferimento, che nel 99% dei casi sarà poi molto diverso da quello a cui uno specifico esemplare viene concretamente trattato sul mercato. La morale è che ogni anno stampiamo un prezzo che è di pura filosofia, perché si applicherà a meno dell’1% delle transazioni. Allora mi chiedo se oggi sia davvero utile un catalogo nella forma tradizionale in cui storicamente è sempre stato presentato. Dall’altro canto, bisognerebbe pubblicare un catalogo con decine e decine di quotazioni per ogni singolo francobollo corrispondenti a tutte le variabili sopra enunciate e alla fine, per peso e dimensioni, non si avrebbe nulla da invidiare all’enciclopedia Treccani ma… povere foreste dell’Amazzonia!
Il secondo grande mutamento di cui dover tener conto è il drastico calo di interesse verso le nuove emissioni. Rimandando ad altra sede la ricerca delle colpe e dei colpevoli di questo cambiamento, è evidente che, non essendoci più attenzione per i francobolli appena prodotti, il loro valore di emissione – il facciale, per intenderci – non sarà destinato ad aumentare nel tempo, come invece avveniva una volta. Anche se appena usciti dal circuito postale questi francobolli sonoo venduti dai commercianti a un prezzo superiore al facciale (per giustificare il lavoro gestione), la loro disponibilità in quantitativi monumentali fa sì che all’ingrosso vengano trattati ben sotto il valore nominale, salvo rare e casuali eccezioni. Per cui non ha alcun senso dover aggiornare ogni anno i prezzi degli ultimi sei decenni, quando il 99,9% dei francobolli censiti vale meno del facciale. È triste a dirsi ma, con le sole eccezioni dei francobolli naturali, per il capitolo dagli anni Sessanta in avanti l’aggiornamento dei cataloghi è assolutamente inutile. Per vedere ogni anno che “faccia” abbiano le cento e più nuove emissioni – nulla più che “figurine adesive” – non ha più senso stampare un “nuovo-ma-vecchio” catalogo annuale.
Per il 2021 non vorrei più ripetermi con un commento simile. Bisognerà trovare il coraggio di interrompere le vecchie abitudini presentando un prodotto nuovo. Per non rovinare la tradizione filatelica e sconvolgere troppo consuetudini consolidate, forse non lo chiameremo più catalogo…