L’astronauta e le nuove leve
Di Filippo Bolaffi
Giugno 2014: da Marte torna sulla Terra un astronauta spedito trent’anni fa nello spazio, dove ha girovagato senza contatti con il mondo. Dopo essersi aggiornato sommariamente sui più importanti fatti accaduti, si butta di nuovo sulla grande passione che era stato costretto a trascurare: la filatelia. Non impiega molto ad andare su Internet e scoprire che tutti i maggiori quotidiani on-line del mondo riportano la notizia che l’1 centesimo magenta della British Guyana è stato appena venduto a 9,5 milioni di dollari da una delle più prestigiose case d’aste del mondo. Eccitato per la notizia, calcola che alla sua partenza lo stesso francobollo era stato venduto per 935 mila dollari, e che quindi nel frattempo si è rivalutato di più del 900 per cento. È però ancora più contento che, durante la sua assenza, la filatelia è diventata talmente popolare da meritare spazio sulle principali testate del mondo. Allora gli viene in mente la sua collezione di francobolli italiani, dimenticata da qualche parte. Non ricorda bene quali esemplari contenga – forse l’assenza di gravità gli ha un po’ danneggiato la memoria – ma è sicuro che ci siano importanti affrancature dei Governi provvisori italiani, alcune delle quali provenienti dalla mitica collezione Pedemonte. Scorrendo i risultati dell’ultima asta Bolaffi, scopre che è stata proposta in vendita una bellissima busta affrancata con il 50 e il 20 grana delle Provincie napoletane, identica a un’altra che nel 1991, nella dispersione della Pedemonte, aveva realizzato 117 milioni di lire, l’equivalente di 60 mila euro. A fine maggio però il lotto è stato aggiudicato alla base, 40 mila euro (48 mila con i diritti). In soldoni, ha perso un quinto del suo valore! Per caso l’astronauta-collezionista si imbatte nell’erede del venditore del pezzo, proprio mentre sta raccontando ai suoi amici che pessimo affare abbia fatto con la filatelia il suo antenato. Il povero astronauta ora è confuso, non capisce cosa sia successo ai suoi amati francobolli, allora si consulta con il suo commerciante di fiducia, quello che negli anni gli aveva venduto molto materiale; vuole soprattutto metterlo alla prova per capire quale sia il vero valore dei suoi pezzi. Il commerciante, confuso anche lui, lo rassicura, ma interrogato su un potenziale prezzo di riacquisto, ribatte che per lui non è un buon momento, che ha già molto stock, suggerisce di pazientare o, se proprio ha necessità di vendere, meglio rivolgersi a qualcun altro, per esempio a una casa d’aste.
La storia appena raccontata ha come protagonista un personaggio di fantasia, ma fatti assolutamente reali, che stimolano una serie di risposte alle ipotetiche domande del nostro astronauta e di qualche lettore che si trova nello stesso stato confusionale.
Il francobollo della British Guyana e la busta delle Provincie napoletane sono entrambi esemplari di nicchia, non rappresentativi di ampie realtà di mercato. Al momento della prima vendita poterono però contare su un numero elevato di estimatori-collezionisti, che fecero salire il prezzo. A distanza di trent’anni, il primo ha acceso altrettanti rilanci; il secondo è stato oggetto delle attenzioni di un solo acquirente. Se si vuole fare un’analisi, entrambi i pezzi sono e rimangono unici. Ma il primo appartiene a un ambito collezionistico di nicchia che però ha saputo rinnovarsi, interessando una platea di potenziali acquirenti molto più ampia, composta da grandi collezionisti, investitori e appassionati di oggetti rari. Il secondo invece è rimasto confinato in una cerchia che ha subito un importante declino, perché non solo non ha saputo rimpiazzare chi all’epoca aveva dato battaglia per aggiudicarsi il pezzo, ma ha addirittura allontanato i nuovi potenziali adepti.
Questi risultati non possono fornire una risposta univoca all’interrogativo se la filatelia vada bene o male visto che, come premesso, si tratta di due casi estremi, non rappresentativi della media del mercato. Gli esempi proposti devono però stimolare la categoria dei commercianti a riflettere sul perché, al posto del francobollo di British Guyana, oggi non possa esserci un esemplare italiano dello stesso livello: forse raggiungere 9,5 milioni di dollari sarebbe comunque impossibile, ma è indubbio che se i mercanti italiani avessero dimostrato un po’ di lungimiranza; se invece di spennare i clienti, li avessero allevati con cura, come fa un padre con i figli; se invece di mandarli a rivendere dal collega dietro l’angolo, avessero difeso il materiale venduto… oggi, invece di essere “genitori” di una generazione in via di estinzione, sarebbero “padri” di tanti nuovi entusiasti collezionisti, magari sparsi in giro per un mondo che si è fatto sempre più globale. E l’amico astronauta sarebbe decisamente meno confuso e si rimetterebbe a collezionare.
Siamo ancora in tempo per recuperare gli errori del passato. I francobolli dell’area italiana hanno la storia e la bellezza per essere amati da tanti giovani collezionisti e hanno anche il fascino per attirare l’interesse degli investitori a caccia di rarità. Siamo ancora in tempo, credo, ma non ne rimane molto, e tutti devono incominciare a fare la propria parte, in particolare chi i clienti all’epoca li ha spremuti fino all’osso, impedendo di far nascere nuove generazioni di collezionisti di grandi rarità.