Luca Ricolfi
Attraverso gli strumenti analitici messi a disposizione da sociologia, statistica, matematica e psicologia, Luca Ricolfi (Torino, 1950) indaga comportamenti sociali e politici, spesso proponendo la sua ricetta per andare oltre. Docente di Analisi dei dati all’università di Torino, fondatore dell’Osservatorio del Nord Ovest e della rivista Polena (acronimo per political and electoral navigations), editorialista della Stampa, collaboratore di Panorama e Sole 24 ore, in questa intervista il sociologo si confronta con lettere, francobolli, comunicazione e informazione.
Il francobollo nasce nel 1840 come cartavalore emessa dallo Stato, ma con il tempo è diventato molte altre cose: da strumento di propaganda a oggetto da collezione. Cosa rappresenta un francobollo agli occhi di un sociologo?
La nostalgia per un’epoca completamente diversa, in cui le persone parlavano attraverso la scrittura, anziché comunicare attraverso la rete. La parola era soprattutto pensiero, sentimenti, racconto, idee. La comunicazione è invece soprattutto trasmissione di informazioni e di istruzioni. Nell’era della comunicazione non c’è posto per il francobollo. A meno che…
A meno che?
A meno che qualcuno, magari fra qualche decennio, non si accorga di una cosa che è già evidente adesso, ma che nessuno vede: la comunicazione senza francobollo sembra efficientissima, ma è straordinariamente inefficiente.
In che senso?
Quante mail riceve lei in un giorno? Quanti messaggini sul telefonino? Quanti messaggi vocali in segreteria? E quante di queste comunicazioni sono perfettamente superflue, anzi sono dannose perché fanno perdere tempo? Tantissime, credo. Ora, la ragione per cui siamo sommersi, soffocati, seppelliti di comunicazioni inutili è la loro gratuità. È un errore sociologico pensare che il francobollo servisse solo a far arrivare un messaggio. Il francobollo, avendo un costo, anzi un doppio costo, monetario e di tempo (acquisto, affrancatura, spedizione), serviva anche a filtrare i messaggi. Quando si era costretti a usare i francobolli, si era anche costretti a selezionare quel che valeva la pena di essere trasmesso, a distinguere quel che è importante e quel che non lo è, con risparmio di serenità e di tempo da parte di tutti. La moderna posta elettronica è molto più efficiente di quella tradizionale nella trasmissione dei messaggi, per la buona ragione che è (quasi) gratuita e (quasi) istantanea. Ma è molto meno efficiente nella funzione di filtro e di selezione dei messaggi. È curioso che nessuno sembri rendersene conto, nonostante da anni la scomparsa della funzione di filtro eserciti una pressione all’abbassamento della produttività del lavoro impiegatizio (e anche scientifico, per quel che vedo in Università). Eppure la soluzione ci sarebbe: basterebbe creare un circuito internet parallelo, a pagamento, con tanto di “francobollo elettronico” (espressione coniata da Alberto Bolaffi, quando ebbi a parlargli di questa idea). Basterebbe che il francobollo elettronico avesse un prezzo compreso fra 1 e 10 centesimi di euro per determinare un crollo del traffico superfluo sulla rete. E avremmo realizzato il miracolo: un circuito al tempo stesso velocissimo (come quello attuale) e filtrante (come la vecchia posta).
Il francobollo esiste (e resiste) pressoché inalterato nell’aspetto e nella sua funzione da 175 anni. In questo periodo alcuni oggetti sono diventati di moda, altri sono finiti nel dimenticatoio. Cosa determina questi mutamenti di gusto?
In parte la moda, in parte maggiore la funzione. Se uno strumento è più efficiente di un altro, prende il sopravvento. Internet è molto più efficiente della posta tradizionale nel trasmettere informazioni, per questo ha preso il sopravvento. Quel che è strano è che non sia ancora passato di moda, travolto dalle sue due inefficienze fondamentali: l’incapacità di calmierare la produzione di messaggi inutili, l’incapacità di proteggere la privacy e la sicurezza delle comunicazioni, due funzioni che il francobollo tradizionale assolveva quasi alla perfezione.
Nell’era del click, del post, c’è ancora spazio per scrivere e affrancare lettere?
Se mi chiede se dovrebbe essercene, le rispondo senz’altro sì. Ma se mi chiede se ce n’è, la riposta è: ce n’è pochissimo. Ma non è la posta tradizionale che è in crisi, il declino delle lettere affrancate è solo un sintomo di un declino molto più ampio: il declino di tutte le attività di natura contemplativa, che richiedono tempo per la riflessione e l’introspezione.
Si è accorta che non esistono più bambini soli e introversi, che sono quasi tutti estroversi e relazionati? Il nostro tempo sta assistendo al declino del francobollo, ma ha già visto la scomparsa dello studio, dell’introversione, della riflessione, dell’ascolto dell’altro. Pensare a una persona lontana, scriverle una lettera, comprare un francobollo e una busta, cercare una buca per spedirla sono attività che presupponevano una forma di vita che non c’è più.
Luca Ricolfi è collezionista? Se sì, di cosa?
Sì, ho collezionato francobolli, monete, figurine dei calciatori, ma senza particolare accanimento e competenza. L’unica cosa che ho collezionato in modo passionale, forse patologico, sono i trenini elettrici. Oggi non colleziono più niente, semmai vorrei liberarmi delle troppe cose che ho accumulato.